Additivi alimentari: cosa, come, quando

Quando si parla di additivi alimentari, nascono le più diverse controversie e teorie del caso. Cerchiamo allora di dare qualche informazione il più possibile esatta, perché è doveroso conoscere cosa mangiamo ma anche sapere ciò che effettivamente è nocivo per la salute e ciò che invece ha un preciso scopo se viene utilizzato.

Denominazione e normativa

Iniziamo il discorso dando l’esatta definizione di additivo alimentare, ovvero “qualsiasi sostanza normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere che diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente”. Così recita la Direttiva del Consiglio 89/107/CE.

In Italia nel 1962 viene modificato un Regio Decreto riguardo la vendita e commercializzazione di alimenti e bevande ed è la prima volta che viene trattato di additivi alimentari. Risale invece al 1965 il primo decreto che viene emanato in materia di disciplina degli additivi alimentari (DM 31/3/1965) il quale conteneva le norme generali sulla commercializzazione e l’impiego di additivi chimici, la lista degli additivi non nocivi e le dosi massime di impiego. Con l’aggiornamento del DM 209 del 27.02.1996 vengono attuate le direttive comunitarie tendenti a uniformare le legislazioni degli Stati membri dell’Unione Europea per la libera circolazione delle merci all’interno della CEE. Sul sito www.salute.gov.it si possono trovare i vari aggiornamenti per quanto concerne l’utilizzo degli additivi alimentari sia nella legislazione italiana che europea.

Qual è lo scopo principale dell’utilizzo degli additivi alimentari? Questi nel tempo hanno rivestito un ruolo importante nella produzione alimentare industriale (e non), partendo dal presupposto che hanno come funzione principe la preservazione delle qualità  e delle caratteristiche dei cibi, aumentandone la conservabilità, la loro stabilità o addirittura in qualche caso migliorandoli. Nel caso di particolari fasce di consumatori, come i soggetti celiaci, aggiungere gli additivi alimentari significa apportare quegli ingredienti necessari per la formulazione di alimenti dietetici dedicati.

Valutazione della sicurezza degli additivi alimentari

Premesso che la conservazione del cibo operata dall’uomo non è una dinamica frutto dell’era industrializzata ma trova le sue origini in tempi più remoti come l’immagazzinamento dei raccolti un anno per il successivo oppure la salagione e l’affumicatura di carne e pesce, l’aggiunta di coloranti e aromi per la palatabilità già in epoca egiziana o l’utilizzo del salnitro e delle spezie da parte dei Romani per migliorarne l’aspetto oppure ancora il bicarbonato di sodio per la lievitazione (tanto per citare alcuni esempi), l’utilizzo di additivi alimentari è diventata un’esigenza tecnologica dovuta anche al mutare delle abitudini alimentari con una maggiore richiesta di cibo che ha influenzato il ciclo produttivo e distributivo degli alimenti. Comunque sia, nonostante l’argomento possa destare preoccupazione, bisogna considerare che molti degli additivi presenti nella regolamentazione in realtà sono costituenti di alimenti, basti pensare all’acido citrico, alla lecitina, alla farina di carrubbe, alle pectine o ai tocoferoli. Nei confronti del consumatore finale è prassi corretta assicurare cibo sicuro, nutriente e appetitoso seguendo rigide procedure lungo tutta la filiera alimentare dal campo alla tavola; è estremamente logico, quindi, che l’utilizzo degli additivi alimentari sia oggetto di una rigorosissima disciplina.

Il principale organismo europeo che ha il compito di valutarne la sicurezza è Il Comitato Scientifico dell’Alimentazione Umana della Commissione Europea, mentre a livello internazionale abbiamo il Comitato congiunto di esperti sugli additivi alimentari della FAO e dell’OMS.

Gli additivi alimentari, per essere utilizzati nella produzione di alimenti, devono innanzitutto avere una comprovata utilità tecnologica che non può essere conseguita in altro modo; in seconda istanza non devono essere pericolosi per la salute del consumatore finale e soprattutto non devono indurlo in errore.

Partendo dal presupposto che qualsiasi sostanza, anche la più garantita in salubrità, se utilizzata in eccesso può comportare a lungo termine un danno, tutte quelle che rientrano nella denominazione di additivo vengono valutate in base a quattro parametri fondamentali: tossicità acuta, tossicità a breve termine (15-30 giorni), tossicità a medio termine (30-90 giorni) e tossicità cronica. Oltretutto è necessario stabilire la dose giornaliera ammessa (in etichetta DGA) e da questa ricavare il limite teorico tossicologico, ovvero il quantitativo massimo di additivo che un certo alimento può contenere.

Fondamentale inoltre è che non si abbia una cross-reattività tra additivi o tra questi e gli altri ingredienti con una conseguente produzione di derivati pericolosi per la salute del consumatore come, per esempio, la reazione tra nitriti e ammine secondarie che dà luogo alle nitrosammine, sostanze di natura cancerogena. Si conoscono inoltre reazioni di non tolleranza o allergiche a particolari additivi come benzoato, metabisolfito di calcio, tartrazina e glutammato.

Una volta che gli additivi alimentari hanno superato le prove tossicologiche e fugato ogni dubbio sulla salubrità degli stessi, questi entrano a far parte della cosiddetta lista positiva, un elenco continuamente in aggiornamento delle sostanze additive ammesse e degli alimenti a cui possono essere aggiunti con l’indicazione delle dosi massime utilizzabili per prodotto, con riferimenti alla DGA e a studi statistici concernenti il consumo quotidiano individuale.

Gli additivi alimentari, eccezion fatta per alcune tipologie, vengono considerati ingredienti veri e propri e come tali devono essere presenti in etichetta con la propria categoria di appartenenza (addensanti, emulsionanti) e il nome specifico (agar, gomma di guar). Quest’ultimo, spesso, viene sostituito con un codice europeo di identificazione che è costituito dalla lettera E e da un numero progressivo (gomma di xantano, E415). Gli aromatizzanti, invece, hanno una regolamentazione a parte.

Quindi, perché vengono utilizzati gli additivi negli alimenti? Principalmente il loro scopo è quello di preservarli da possibili alterazioni ad opera di microbi e per ossidazione (scurimento delle superfici). In secondo luogo, come  nella preparazione di alimenti dietoterapeutici o comunque di preparazioni che devono mantenersi morbidi a lungo, gli additivi sono di gran supporto nella produzione alimentare. Normalmente gli additivi non influiscono sul valore nutritivo dei cibi, ma abbiamo diverse eccezioni tra cui i solfati e solfiti che se ingeriti alterano la funzione della  tiamina (vitamina B1) rendendola inefficace: essa si trova specialmente nella carne suina, nelle interiora e nei cereali integrali e vien da sé l’importanza di leggere le etichette soprattutto quando ci si appresta ad acquistare determinate tipologie di alimenti (in primis i salumi non artigianali).

Un utilizzo degli additivi al di sopra del consentito oppure in aggiunta a prodotti alimentari per simularne la buona qualità è a tutti gli effetti una sofisticazione dell’alimento. Gli additivi devono quindi essere riconoscibili e dosabili e per tale scopo seguire la letteratura scientifica di riferimento per quanto concerne la loro analisi chimico-fisica. Inoltre non devono risultare tossici per gli esseri umani e animali o presentare tracce metalliche e impurità da lavorazione.

Per concludere, è necessario ribadire l’importanza e l’efficacia di una corretta informazione, la quale aiuta a fugare ogni dubbio al consumatore finale.

[Ph. Credits: Pixabay]

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