La celiachia è una malattia autoimmune caratterizzata dalla non tolleranza alla gliadina, componente del complesso proteico glutinico e presente in cereali come grano e le sue varianti, farro, orzo, khorasan, segale e avena.
Una persona affetta da morbo celiaco che si alimenta con cibi contenente glutine incorre in una produzione, da parte del suo organismo, di autoanticorpi che vanno a colpire alcuni organi come l’intestino (primariamente) ma anche la tiroide, la pelle e l’ovaio. Una persona su 100 è colpita da celiachia e non sempre diagnosticata, ovvero per ogni celiaco diagnosticato ce ne sono quattro che non sanno di esserlo. Altri dati dicono che le donne sono le più colpite dal morbo celiaco rispetto agli uomini, il doppio secondo le stime, e questo in quanto la predisposizione all’autoimmunità è più frequente nel sesso femminile per un fattore ormonale (influenza di estrogeni e progesterone) ma anche perché, rispetto agli uomini, le donne ricorrono più spesso alle prestazioni diagnostiche consentendo nel tempo una diagnosi sempre più precoce.
Una donna sospetta di essere celiaca in genere presenta alcune caratteristiche come la bassa statura, anemia, disturbi intestinali e generici, maggior possibilità di osteopenia e di fratture spontanee in età fertile, basso indice corporeo e irregolarità nell’attività ovarica.
Numerose evidenze cliniche stanno rivelando negli anni una correlazione sempre più stretta tra celiachia e problemi di fertilità femminile. Gli autoanticorpi a livello ovarico, infatti, portano nel tempo ad una riduzione del numero di cellule oocitarie fertili, comportando anche il rischio menopausa precoce. La stessa è anche dovuta al mancato assorbimento di micronutrienti come zinco e selenio, importante per la regolazione della funzionalità ovarica. Spesso per la donna celiaca non diagnosticata non riesce a portare avanti la gravidanza: tra gli agenti implicati nell’aborto spontaneo troviamo anche gli anticorpi anti-transglutaminasi i quali, insieme ad altri fattori immunologici, contrastano l’impianto dell’embrione all’utero e quindi la formazione dell’apparato placentare. In caso di successo dell’impianto, però, può capitare che a causa del malassorbimento di nutrienti come ferro, acido folico, calcio e vitamina D ci possano essere delle complicanze durante l’accrescimento del feto come la probabilità di malformazioni al tubo neurale (con conseguente spina bifida o anencefalia), carente mineralizzazione delle ossa e basso peso alla nascita.
L’unica soluzione a oggi conosciuta è la dieta strettamente priva di glutine almeno 6 mesi prima del concepimento (se si vuole programmare un’eventuale gravidanza), oltre ad una diagnosi precoce per stabilire se l’interessata è colpita da morbo celiaco e qui è necessario rimettersi sia alla competenza dello specialista (medico di base e/o gastroenterologo e/o ginecologo) che all’autoanalisi della paziente se è in grado di rendersi conto quando sente di avere qualche problema che non riscontrava in passato. Studi recenti hanno infatti constatato che una dieta priva di glutine riesce a ridurre di quasi 9 volte il rischio di aborto spontaneo, rischio triplicato per le donne celiache non diagnosticate rispetto a donne sane, e se iniziata da almeno 10 anni ritarda l’insorgere della menopausa.
Fonti:
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